La storia dell’adultera viene raccontata nel vangelo di Giovanni al capitolo 8, versetti 1-11
Riportiamo un articolo di Rita Randolfi che analizza alcuni dipinti di Mattia Preti sul tema dell’incontro tra il Cristo e l’adultera. Sull’insistenza e le diverse sfumature che possono essere colte nei suoi numerosi dipinti dedicati a questo incontro legati alla scoperta, entusiasmante e commovente al contempo, dell’infinita misericordia di Dio.
Mattia Preti
(Taverna, 25 febbraio 1613 – La Valletta, 3 gennaio 1699)
Fu uno dei maggiori pittori di successo del ‘600, tanto che ancora oggi molti lo considerano il più importante artista calabrese di tutti i tempi. Le opere sono numerosissime, grazie agli oltre 60 anni di carriera.
Mattia Preti fu tra i più interessanti "seguaci" di Caravaggio. Viaggiò per tutta la penisola per poi stabilirsi a Malta e dipinse decine di opere nel corso della sua lunga e proficua carriera. Tuttavia, non dimenticò mai di continuare a coltivare il legame con la sua terra natale, la Calabria guadagnandosi l’appellativo di Cavalier Calabrese. Si sa che ebbe una solida educazione umanistica. Fondamentale fu il trasferimento a Roma avvenuto forse nel 1630. Nel 1650 entrò nella congregazione dei virtuosi al Pantheon, un prestigioso sodalizio intellettuale dove hanno gravitato anche artisti come Borromini, Velázquez e Canova. Nel 1659 si spostò a Malta dove divenne il pittore ufficiale dei Cavalieri di Malta e dove fu eletto cavaliere a sua volta.
di Rita RANDOLFI
Claudio Strinati illustrando la parabola artistica di di Mattia Preti individua due diverse strade perseguite dal pittore nella sua personale rielaborazione della Manfrediana Methodus, una orientata verso un certo gigantismo, l’altra verso l’intimità, in entrambe:
«una sorta di luce lunare (che) smussa le forme e spinge l’osservatore più all’intuizione che alla contemplazione (…) con un’eloquenza visiva che resta costante sia che venga immersa nell’ombra veronesiana dei grandi Banchetti o del Ritorno del figliol prodigo, sia che narri gli episodi di incontro e riconciliazione, di dolenti riflessioni della regina Sofonisba, di Cristo che incontra i discepoli o le donne del Vangelo, sia che riepiloghi l’immensità della Corte celeste»[1].
Partendo da queste riflessioni e dal vangelo di domenica 3 aprile, la quinta di quaresima, mi sono chiesta se davvero un artista come Preti, che ad un certo punto della sua vita verrà accolto tra i Cavalieri di Malta, abbia voluto con i suoi quadri fornire anche un sua personale riflessione sulle Sacre Scritture.
Mi colpisce infatti l’insistenza e le diverse sfumature che possono essere colte nei suoi numerosi dipinti dedicati all’Incontro tra Cristo e l’adultera, legati alla scoperta, entusiasmante e commovente al contempo, dell’infinita misericordia di Dio. È vero che Preti, come anche altri pittori del Seicento, compreso il Caravaggio, replicavano, magari con qualche piccola variante, le composizioni che ottenevano maggior successo sul mercato, ma occorre sempre tener presente la sensibilità religiosa di un periodo e dell’artista stesso, elementi talvolta troppo trascurati dalla critica, che indaga solitamente con maggior attenzione, le istanze della committenza.
Eppure il recente convegno online organizzato da Sergio Rossi e Rodolfo Papa sul Caravaggio ha messo in luce proprio la spiritualità del lombardo,
che per giunta aveva un fratello sacerdote, tentando di rimuovere quelle distorsioni interpretative che già biografi invidiosi avevano voluto avanzare circa la sua produzione e la sua persona tanto che, nel tempo, qualcuno è arrivato a definirlo romanticamente un “maledetto”.
Credo che anche Preti, cavalcando l’onda del successo ottenuto, spinga l’osservatore ad alcune riflessioni e penso che, soprattutto nel caso di scene tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento, spesso si dimentichi che è proprio la Bibbia la fonte letteraria per eccellenza alla quale gli artisti si ispiravano, prima di giungere a letture più dotte, o esplicative del passo scelto. Nelle opere di argomento religioso dell’artista calabrese, il volto di Gesù è sempre riconoscibile e presenta tratti inequivocabilmente ispirati alla tradizione, che fa riferimento alla prima immagine riconducibile al viso del Redentore, quella della Sindone. Anche l’abbigliamento di Cristo si presenta identico, costituito da una tunica rossa ed un mantello azzurro. Del resto Preti, come è stato rilevato dagli studiosi, pur nell’evoluzione del proprio stile, mantiene caratteristiche sempre ben riconoscibili. Il pittore, come già detto, dedica numerosi quadri e disegni al tema dell’incontro tra Cristo e l’adultera, alcuni ricordati persino dal suo biografo, Bernardo De Dominici. Nelle diverse versioni l’artista si concentra sui personaggi, ritratti a mezzo busto, tralasciando l’ambientazione. I contorni della tela vengono ritagliati addosso ai protagonisti, che emergono in tutta la loro complessità psicologica.
La storia dell’adultera viene raccontata stranamente nel vangelo di Giovanni al capitolo 8, versetti 1-11, stranamente perché di solito l’evangelista del Padre misericordioso è Luca. Dopo essere stato sul Monte degli Ulivi, Gesù torna nel tempio. Qui, seguito dalla folla, si siede e comincia a predicare. Improvvisamente arrivano gli scribi ed i farisei che
«gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo».
Nel dipinto della Galleria regionale della Sicilia di palazzo Abbatellis (fig. 1) Preti sembra conferire molta importanza all’atteggiamento ambiguo del fariseo. Infatti mentre il personaggio a sinistra è come inghiottito dall’ombra, che ne lascia appena visibile la sagoma scura, quasi a voler significare la notte della coscienza obnubilata dal peccato, il suo collega al centro, con il capo coperto da un prezioso turbante bianco ornato con strisce rosse, rivolge lo sguardo al fruitore esterno, del quale sembra attendere la reazione, quasi invitandolo a schierarsi dalla sua parte, quella della richiesta di una punizione esemplare.
I contorni si restringono sui personaggi, proprio come faceva Guercino, ritenuto da molti il maestro del calabrese, il quale in primissimo piano, quasi sul bordo del quadro, dipinge le mani dei protagonisti, quelle dell’adultera, legate ai polsi con una corda rudimentale, quella del Salvatore con il dito puntato verso il petto di lei. Tuttavia questo gesto non pare di accusa, la bocca semiaperta e lo sguardo pieno di compassione di Gesù sono per la donna, il fariseo resta estraneo a questo dialogo d’amore. Lei, tuttavia, è in evidente imbarazzo, piange, perché ha paura della lapidazione, che secondo la legge dell’epoca le sarebbe stata inflitta. La luce, che piove dall’alto, le accarezza il collo e le spalle, ma lei non riesce a guardare negli occhi né il suo accusatore, né il suo interlocutore, le lacrime raccontano il suo stato d’animo.
La giovane è sola, abbandonata dal marito, che probabilmente non è stato in grado di renderla felice, e abbandonata anche dall’amante, la cui assenza risulta ancora più ingombrante sia nel testo sacro che nel quadro. La sete d’amore della donna, dunque, è diventata ancora più pungente, ed i farisei la emarginano, isolandola da se stessa, dalla società di allora, anche perché il loro interesse non è il suo tradimento, ma il parere di Gesù. Ecco quindi spiegata l’indifferenza del fariseo, per il quale quella donna diventa solo un espediente, uno strumento per cercare di tendere un meschino tranello al Nazareno.
Gesù capovolge la situazione ed il pittore indugia sulla rappresentare di quel dialogo tra la peccatrice ed il suo Redentore, il cui unico scopo è quello di restituirle, attraverso il perdono, la dignità perduta. Nel disegno preparatorio al dipinto, conservato nel Museo Nazionale di San Martino di Napoli, il gioco degli sguardi sembra un poco diverso, infatti le figure sono ritratte a mezzo busto, ma con un taglio più lungo, fino alla vita. Lo scriba si sporge maggiormente verso Gesù, che lo bypassa, parlando direttamente con l’adultera, la quale, contrariamente a quanto accade nel quadro, pare sollevare gli occhi verso di lui.
Nel quadro invece Preti sottolinea l’incomunicabilità tra il fariseo e la peccatrice, chiusa nel suo senso di colpa. Soltanto Gesù ricompone una relazione d’amore, ridona la libertà e il tempo sprecato da lei dietro l’illusione effimera di aver trovato quel calore che lei credeva di aver conquistato con il matrimonio. Il dipinto in antico costituiva un pendent con quello sempre a Palazzo Abbatellis, raffigurante Cristo e la Cananea. I due quadri appartenuti a Gabriele Boragine indagavano l’incontro tra Gesù e due tipologie diverse di donna, una pagana, ma dotata di grande fede, l’altra ebrea, ma peccatrice. Gesù rivolge a entrambe la stessa attenzione, nel desiderio che si riconoscano come figlie amate da Dio.
Nel dipinto del Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila (fig. 2), proveniente dalla collezione della famiglia Cappelli di San Demetrio, il pittore si sofferma su un altro elemento dello stesso episodio. Giovanni racconta: «Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra». In questa tela dal formato verticale i personaggi sono di nuovo tagliati a mezzo busto, ma Gesù, con il suo stesso corpo, sembra fare scudo tra i farisei e la donna, verso la quale si inchina mostrandole con la mano ciò che ha scritto sulla pietra, dove sembra di poter leggere la parola “Seguimi”.
Anche in questo caso la donna ha le mani legate e guarda verso il basso, ma il suo incarnato perlaceo, a contrasto con quello degli scribi, dei farisei e dello stesso Gesù, la rendono l’elemento più luminoso dell’opera, come se il suo pentimento che, infatti, precede la famosa frase con cui Gesù risponde agli inquisitori: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra», la riabiliti nello splendore di creatura intatta, appena uscita dalle mani di Dio. L’espressione del volto di Cristo rinvia all’affermazione che segue la domanda:
«”Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Preti interpreta liberamente i fatti raccontati da Giovanni, infatti, mentre nel vangelo gli scribi ed i farisei si allontaneranno dalla scena dopo aver udito la celebre frase «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» partendo dagli anziani fino ai più giovani, permettendo a Gesù di instaurare un dialogo più intimo con la donna, nel quadro, invece, i dottori della legge si trattengono e sembrano interessati a ciò che il Signore sta scrivendo sulla pietra. Il testo non parla di una pietra, ma afferma che Gesù scriveva per terra dove era seduto e che successivamente si sarebbe messo in piedi per raggiungere l’adultera. Nella Bibbia il gesto di alzarsi equivale a risorgere, o a indurre la resurrezione, ossia il coraggio e la forza di cambiare radicalmente direzione. E pare che Cristo, nella tela di Mattia, oltre ad essersi appena alzato, quasi desideri proteggere la donna e dedicarle tutta la premura necessaria per farla sentire a suo agio.
Nella versione conservata nella Galleria Spada di Roma (fig. 3), Gesù si rivolge direttamente allo spettatore, che stavolta viene trattato come uno degli astanti. Cristo, infatti, con una mano indica l’adultera, ma con l’altra punta il dito verso il basso, forse verso le pietre lasciate cadere dai dottori della legge per terra, una terra che indica tutta la povertà dell’uomo, tutta la sua fragile costruzione di regole o di trasgressioni, a seconda del punto di vista degli scribi o dell’adultera, su cui basa la sua esistenza, sottraendola all’immenso dono della libertà, che, in fondo, lo spaventa. Ma di nuovo il pittore è capace di conferire allo sguardo di Gesù i tratti della misericordia del Padre.
Gesù non sta giudicando nessuno, il suo è uno sguardo che redime, guarisce e anche gli anziani dietro di lui se ne rendono conto e hanno perso le cattive intenzioni che covavano nel cuore, quello di sinistra continua ad assumere un’aria interrogatoria, ma il compagno dal lato opposto schiude la bocca, meravigliandosi, gli altri due sembrano lasciare il campo. L’adultera invece viene presentata nella flagranza del suo reato, è discinta, non ha fatto in tempo ad allacciarsi il corpetto e la casacca, non osa sollevare lo sguardo e ha le mani legate.
L’efficacia comunicativa dei dipinti pretiani risiede nel taglio ravvicinato che consente al fruitore di potersi identificare con uno o tutti i protagonisti dell’episodio: ognuno di noi può essere il fariseo arrogante e meschino, che cerca di mettere in difficoltà l’altro, puntando il dito, giudicando, sentendosi falsamente e presuntuosamente migliore, oppure può immedesimarsi nel dottore che lentamente si allontana, perché si vergogna, riconoscendo il proprio errore, o ancora in quello che resta, perché la Parola lo ha toccato e tenta di capire qualcosa che va contro la tradizione degli insegnamenti ricevuti. Ma ognuno di noi può essere più facilmente l’adultera, che cerca un senso alla sua esistenza, che non ha trovato la felicità all’interno di un legame familiare, non è riuscita a saziare la sua sete di amore ricevuto e dato. Fino a quando lì, in mezzo a quegli uomini che l’accusano, prende coscienza di essere vittima per l’ennesima volta di una violenza, esercitata da persone assenti e presenti, e scopre l’amarezza e il disgusto di essersi “buttata via”.
Per la prima volta assapora la libertà dalla schiavitù di una passione malata, rappresentata da quei lacci, quelle corde che imprigionano le sue mani, che tornano candide, come la sua anima. Quella giovane se avesse potuto, sarebbe certamente fuggita via, ma capisce che Gesù le rende la possibilità di percorrere nuove strade, gettandosi alle spalle un passato di delusioni. Gesù suggerisce a lei e a noi di non continuare a sbagliare il bersaglio della nostra ricerca, di non sprecare il nostro tempo dietro il delirio di onnipotenza e di successo.
E forse in questi giorni così bui, il messaggio evangelico, attraverso l’interpretazione che ne fornisce Mattia Preti, potrebbe aiutarci a riflettere, potrebbe stimolarci a cambiare rotta e a tornare sulla via della pace, riappropriandoci di quella bellezza, quella libertà, quella dignità di figli di Dio che stiamo distruggendo. E concludo con dei versi di Davide Maria Turoldo che mi sembrano il commento più appropriato per questi dipinti, parlando di ricerca, di pietre e di fame d’amore: «Noi Lo cerchiamo e vorremmo che passasse sulle strade come uno di noi, e dietro gli andrebbe anche una pietra, in questo bisogno di fame d’amore».
Roma 10 aprile 2022
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