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America Latina, il continente della “Speranza” tra pandemia, violenza e diseguaglianza

L'analisi di Luis Felipe López-Calva nell’intervista di Roberto Montoya per Rainews.


La crisi economica, sanitaria e la carenza di cibo hanno messo in ginocchio il continente sudamericano, facendo schizzare a 100 milioni il dato sui nuovi poveri. Nel 2020 oltre 59,7 milioni di persone – ovvero il 9,1% della popolazione totale della regione - ha sofferto la fame.

Una radiografia che vede il continente sprofondare tra pandemia, violenza e diseguaglianza. A pagare di più sono le donne, soprattutto nella loro situazione economica: il 28% di loro ha perso il lavoro, ma altro dato preoccupante è che il 2020 ha segnato l’aumento dei femminicidi.

Diverse le domande poste da Roberto Montoya al direttore per l'America Latina e i Caraibi del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Pnud) Luis Felipe López-Calva.

(In foto)



La questione principale affrontata è stata indagare sul perché l’impatto della pandemia è stata sproporzionatamente più forte in America Latina rispetto ad altri paesi del mondo. A soffrirne di più la classe media: vivendo poco al di sopra della soglia di povertà è considerata vulnerabile dal punto di vista monetario. Gli effetti della crisi sanitaria ha indotto una sorta di coma dell’economia, non esistendo meccanismi fiscali che possano erogare rapidamente degli stimoli economici di recupero. Al problema della precarietà lavorativa si associa poi la mancanza di sicurezza, che porta ad essere questo ampio territorio una delle aree più violente del mondo. Questa è la zona in cui avvengono ogni anno circa il 34% degli omicidi e delle morti violente a livello mondiale. Questa sproporzione fa pensare che c’è qualcosa di strutturale che rende le persone terribilmente inclini alla violenza. Ovviamente tutto questo ha a che fare con attività illegali, il narcotraffico, ma in alcuni casi si registrano anche violenze politiche.


Alla domanda del perché la violenza genera disuguaglianza, Luis Felipe López-Calva ha risposto che i più vulnerabili sono proprio coloro che non possono proteggersi, chi ha possibilità economica ovviamente si protegge. Anche la violenza colpisce in modo disuguale. Per fare un esempio in America Latina esistono molte più guardie di sicurezza private rispetto a poliziotti statali, un mercato privato della sicurezza che consente di tutelare solo chi può permetterselo.


Un altro fenomeno preoccupante è l’immigrazione. In un rapporto sulle migrazioni, l’ONU rivela che quella dell’America Latina e dei Caraibi è la regione del mondo dove si è registrato il più forte aumento del numero dei migranti. C’è da chiedersi come possono i governi e l’opinione pubblica internazionale mitigare questo dramma umano?


Il pensiero di López-Calva è che ci siano due temi distinti: uno è la migrazione e l’altro è quando la migrazione si trasforma in dramma, perché nel loro paese hanno scarse opportunità e per questo molti sono costretti ad andarsene via. In questo caso la soluzione ha a che vedere con le autorità locali che devono creare opportunità. Ci sono alcune politiche in collaborazione con la Banca Interamericana di Sviluppo contro la cattiva percezione dei migranti, per aiutare le comunità ospitanti ad accogliere i migranti e ad integrarli. Il Pnud ha redatto un manuale con altre agenzie del sistema in cui si spiega soprattutto ai governi locali come affrontare la migrazione, come integrare i migranti ed evitare la xenofobia. La Colombia è un buon esempio, ha regolarizzato con uno statuto temporale i milioni di migranti provenienti dal Venezuela; ha dato la possibilità di avere un’identità, un’occupazione e questo può essere un valido approccio da trasmettere.


Tra tante ombre, una luce e uno spiraglio si sta aprendo per quell’America Latina definita il continente della “Speranza”. La popolazione prima della pandemia aveva una scarsa fiducia nei propri governi: oltre il 70% della popolazione riteneva che il governo si occupasse delle necessità di pochi e non di molti. Ciò ha portato ad una serie di turbolenze sociali soprattutto in paesi come Cile, Ecuador e Colombia. Durante il periodo del Covid ci sono state 14 elezioni, sia a livello presidenziale, del Congresso che a livello locale. La regione è stata interessata da un’attività elettorale molto intensa e, salvo alcune tristi eccezioni, le elezioni sono state credibili, riscuotendo ampia partecipazione in molti paesi come Messico, Bolivia, Cile ed Ecuador. Questo è un buon segnale, la gente sta dimostrando concretamente attraverso la partecipazione che crede nella democrazia. È necessario migliorare la qualità della politica, c’è malcontento nei confronti dei partiti politici e la qualità delle decisioni pubbliche. I paesi dell’America Latina hanno mostrato una certa resilienza, una buona base su cui costruire. Per questo, il direttore per l'America Latina e i Caraibi del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Pnud) Luis Felipe López-Calva preferisce essere ottimista anche se non ingenuo.


Come auspicava Papa Francesco nel 2014, definendolo il continente della ‘speranza’, l’America Latina deve cercare: “nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia ed equità con la riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana, sofferenza feconda con gioia speranzosa. È possibile custodire questa speranza solo con grandi dosi di verità e amore, fondamenti di tutta la realtà, motori rivoluzionari di un’autentica vita nuova”.



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